“Sarebbe ardito affermare che don Calogero approfittasse subito di quanto aveva appreso, egli seppe da allora in poi radersi un po’ meglio e spaventarsi mneno della quantità di sapone adoperato nel bucato, e null’altro; ma fu da quel momento che si iniziò per lui , e per i suoi, quel costante raffinarsi di una classe che nel corso di tre generazioni trasforma efficienti cafoni in gentiluomini indifesi.”
G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo.
Purtroppo la principale dote di un politico, di qualsiasi nazione e di qualsiasi tempo, è quella di essere un lupo feroce travestito da gentiluomo indifeso, cosa che tutti i politici che sono venuti dalla gavetta, seguendo il cursus honorum che, sin dai tempi dei Romani, veniva prescritto a chi aspirava a cariche pubbliche, benissimo hanno imparato: perdipiù ho come la sensazione che alcuni di questi politici prét-a-porter, dei quali importanti esempi abbiamo avuto in Italia, siano solamente alla prima, o al massimo alla seconda, delle tre necessarie generazioni. E Donald Trump, gentiluomo indifeso, a differenza di tanti altri che si sono seduti prima di lui nello Studio ovale, non è mai riuscito a fingere di esserlo. E mal gliene incolse.
Per chiarire compiutamente le mie personali idee circa la Presidenza Trump occorre andare qualche anno indietro.
All’indomani delle elezioni che sancirono la vittoria di Trump, immediatamente iniziarono gli alti lai delle prefiche: “Trump è stato eletto con l’aiuto della Russia! Bisogna immediatamente indagare! Le elezioni non sono valide!”. E chi e come avrebbe manipolato le elezioni? Semplicemente pagando alcune centinaia di migliaia di inserzioni pubblicitarie sui social, con fattura indirizzata al Kremlino.
Ma mi faccia il piacere...
Dopo che i giudici svolsero indagini anche sul numero di scarpa dei membri dello staff elettorale di Trump, le prefiche furono costrette ad ammettere che che non vi erà la benché minima evidenza che i russi avessero in qualche modo manipolato le elezioni.
Al riguardo c’è inoltre da fare la constatazione che mentre la Russia non aveva particolari preferenze perché venisse eletto Trump o la Clinton ( si, in effetti la Clinton aveva avuto degli screzi con Putin al tempo in cui era Segretario di Stato, ed inoltre c’era, e c’è, la irrisolta questione del gas russo e altre questioni che saranno esposte in seguito, ma da qui a manipolare, o a tentare di manipolare, le elezioni statunitensi ce ne passa e ce ne corre) oggi invece i motivi economici che Cina e Germania, solo per citare due nomi “a caso”, potevano avere per far fuori Trump, il cui secondo mandato presidenziale sarebbe stato molto più incisivo del primo, dato che è notorio che nel secondo mandato il Presidente, non potendo più essere rieletto ed avendo ormai imparato il “mestiere”, è in grado di sviluppare effettivamente le sue idee politiche molto più di quanto possa fare nel primo mandato, erano enormi. Fantastiliardi, letteralmente. E rimango perplesso quindi quando, dopo aver gridato non per i “brogli”, ma per il “condizionamento psicologico” che le fragili menti degli elettori americani avrebbero subito nelle elezioni del 2016, in queste ultime del 2020, dove gli interessi in gioco erano tali da non poter essere neppure pienamente compresi da noi semplici uomini della strada, le elezioni siano state considerate dalle medesime prefiche come “limpide, cristalline ed’alta montagna.”
Ma perché gli americani hanno questa fissa sul fatto che il voto nelle loro elezioni possa essere manipolato?
Evidentemente non si fidano del loro sistema elettorale, che rispetto alle lungaggini e alle farraginosità del nostro sembra perfetto, ma che perfetto non è invece per nulla.
Consideriamo le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 1992.
Nel 1991 si era avuta la prima Guerra del Golfo, il Kuwait era stato liberato, ma Saddam Hussein era rimasto saldamente al suo posto.
Anche allora comparve il miliardario di turno, Henry Ross Perot (Texarkana, 27 giugno 1930 – Dallas, 9 luglio 2019) che fondò il suo personale partito, il Partito della Riforma. Idee politiche: posizione nettamente conservatrice, nel senso statunitense del termine, che è alquanto diverso dal nostro.
Una cosa importantissima, da che sarà richiamata in seguito: qualsiasi cittadino americano si può candidare a diventare Presidente degli Stati uniti, basta abbia i soldi per farlo: non sono quindi solo i due nominati dai due maggiori Partiti che si sfidano, come qualcuno qui in Europa sembra credere.
Il miliardario Perot apre la sua campagna elettorale, fa qualche comizio in giro per la Nazione , paga un po’ di gadgets e bandierine, ma dopo un po’ “.. mi ritiro dalla competizione, ho speso veramente troppi soldi, tanto non diventerò mai Presidente degli Stati Uniti...” le sue parole.
La medesima cosa fatta da un altro miliardario in queste ultime elezioni, Michael Rubens Bloomberg (Boston, 14 febbraio 1942: incommensurabilmente più ricco sia di Donald Trump che di Ross Perot messi insieme, detto per inciso...), il quale però cercò, senza riuscirci, la nomination nel Partito Democratico.
Passa qualche settimana e il miliardario Ross Perot si ripresenta “..tutto sommato ci ho preso gusto. Sono di nuovo qui...”
Risultato delle elezioni:
Bill Clinton 44 909 806 milioni di voti 43,0% 370 grandi elettori
George H. W. Bush 39 104 550 milioni di voti 37,4% 168 grandi elettori
Ross Perot 19 743 821 milioni di voti 18,9 % 0 grandi elettori
Non è necessario essere né grandi politologi né grandi matematici per notare che, senza la presenza del miliardario Perot, che ebbe un successo elettorale che non si vedeva da decenni per un indipendente, George H. W. Bush avrebbe vinto alla grande.
Ma c’è una domanda, che è rimasta irrisolta: dove prese, o chi diede, a Ross Perot i soldi per la prosecuzione della campagna elettorale?
Ah, saperlo....
Non credo di essere il solo a pensare che quei soldi non provenissero dall’interno degli Stati Uniti.
Da allora, gli Stati Uniti si sono “sensibilizzati”
al fatto che le elezioni presidenziali possano essere “eterodirette” ed
entrambi i due maggiori Partiti hanno confezionato il “biscottino” al povero Trump,
per far capire in futuro a chi volesse diventare il Presidente degli Stati
Uniti che, necessariamente, la sua candidatura dovrà passare attreverso di
loro.
Non per nulla il candidato che ha vinto le elezioni, Joe Biden, ha un curriculum
politico da far invidia a Clemente Mastella o a Paolo Cirino Pomicino.
Ma perché Trump, nel 2016, riuscì innanzitutto a candidarsi?
Perché i giornaloni di regime condussero un enorme
battage pubblicitario e la Clinton era considerata una candidata imbattibile:
il fatto che tutta l’America profonda, quella che i benpensanti liberal dell’East
Coast chiamano con dispezzo dei rednecks, quelli che guidano le falciatrici nei
campi di mais in Iowa o lavorano negli allevamenti di vacche nel Montana la
odiassero, non faceva parte della loro visione del mondo.
E siccome a nessuno piace perdere, anche i Repubblicani furono ben felici di
candidare Trump: “ ma che vorrà mai questo parvenu...” pensò il GOP “..
lasciamolo andare a rompersi le corna contro la Clinton... tanto, se perderà,
potremo dire che ha perso lui, e non noi, e così ce lo saremo anche tolto dalle
scatole.”
Esattamente come disse un famoso personaggio quando "scese in campo" Silvio Berlusconi: "Se pevde, pevde lui, se vince, vinciamo tutti."
I fatti andarono diversamente, come la Storia insegna: esattamente come, nella c.d. Prima Repubblica, prima delle elezioni chi si professava democristiano veniva additato più o meno come un mentecatto, per cui nessuno, se non proprio quelli più politicamente schierati, si professava tale, ma poi la D.C. aveva nelle urne il 40% dei voti, così Trump vinse le elezioni del 2016.
Ma questa volta, per farlo fuori , è stato
fatto un gioco assolutamente scientifico, che è stato quello che ha provocato l'ira, decisamente scomposta, del povero Donald Trump.
Un mio Amico, da tempo scomparso, fece pericolosamente la Seconda Guerra Mondiale in un Reparto che non nomino.
"Da noi vigeva un proverbio" mi disse una volta: ".. se qualcuno sta tentando di fregarti, tu non ti agitare. Corri anche il rischio di farlo godere." Il mio Amico non usò il termine "fregarti" ma ne utilizzò un altro, che non riporto. Evidentemente Donald non era a conoscenza di questo proverbio.
Ma questo alla prossima puntata.
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