venerdì 26 agosto 2016

4 – L’Islam e noi – I processi mentali



Non voglio certo con questo titolo millantare titoli accademici e conoscenze che non mi competono, per carità, ma vorrei solo far notare come, di fronte alla medesima situazione, un occidentale ed un islamico metteranno in atto processi mentali del tutto diversi, che porteranno necessariamente a diversi comportamenti e a diversi risultati, ma la medesima cosa si potrebbe dire per un indiano, o anche per un modernizzatissimo e tecnologicissimo giapponese. L’errore compiuto dagli occidentali è stato proprio quello di pensare che gli islamici, apparentemente modernizzati e vestiti all’occidentale, potessero essere considerati come una sorta di europei che bizzarramente professavano un’altra religione: “Women are not female men” * ebbe una volta a dirmi un amico inglese. E non sto parlando di terroristi, la cui mentalità è diversa ancora, ma di persone che, come disse una volta il Vescovo cattolico di Tripoli, “professano in maniera esemplare le virtù teologali di Fede, Speranza e Carità, anche se seguono la legge di un capopopolo che non fu mai un profeta.”

Emblematico l’episodio citato nel primo di questi miei articoletti: il vecchio sergente delle truppe libiche, “medaglia di bronzso”, che tranquillamente se ne va a piedi nel deserto a pregare sulla tomba del famoso marbut. Quando ariverà? Domani, forse dopodomani, ma solo se Allah lo vorrà. Vuole un passaggio? No, vado a piedi. Ma non secondo la nostra mentalità cattolica per espiare con la fatica, il disagio e la scomodità chissà quale peccato commesso e “fare penitenza”, ma semplicemente perché il tempo, per lui, non ha nessuna importanza e, quanto ai disagi, c’è talmente abituato e si accontenta di talmente poco che questa vita per lui è una vita da re. Non c’è forse saggezza in questo atteggiamento?

Interessante notare come anche gli europei che risiedono per lunghissimo tempo in certi paesi lentamente modifichino la loro mentalità, tanto da far si che i britannici guardassero con molto sospetto i “coloniali” che rientravano in madrepatria dopo una vita passata in India o in Egitto, che accusavano di aver sviluppato un atteggiamento inammissibilmente “lax and indulgent”** e che, dopo decine dìanni passati in Colonia, difficilmente riuscivano a riintegrarsi sul territorio metropolitano. Per evitarlo, i Britannici usavano “to dress for dinner” *** anche in mezzo alla giungla....

Risulta quindi difficilissimo per un islamico adattarsi non solo ai processi mentali “progettuali” tipici della nostra mentalità occidentale ma un islamico che viva nei nostri paesi viene sottoposto a “prove d sforzo” tali da metterne a dura prova la resistenza psichica, se vuole continuare a dichiararsi mussulmano.
Nei mesi scorsi fu nostro ospite Moustafà, un simpatico ragazzo di vent’anni nato in Sud-Africa da padre italiano e da madre indiana di religione islamica. Anche il padre si era convertito all’Islam e, come tutti i convertiti, ci venne detto (dalla sorella, zia di Moustafà), che professava la nuova religione con una partecipazione che rasentava il fanatismo. Moustafà, discreto e gentile, si era trasferito da pochi mesi nel Veneto, dove faceva l’insegnante di inglese: “Io non potrò che sposare una vergine, e anch’io mi dovrò sposare vergine” ebbe a dirmi.
Figuriamoci: un bel ragazzo, con tratti somatici italo-indiani, nel liberale Veneto, avrà serie difficoltà, immagino, per l’una e per l’altra cosa...

E i “vu cumprà” che passeggiano sulle spiagge tra femmine pressoché completamente nude, mentre nel loro paese un uomo, per scoprire se una donna adulta ha, o no, le gambe, deve prima sposarsi?
Ci sono sicuramente altre ragioni, ma mi viene fatto di pensare che gli attentati terroristici in Europa e la ferocia bestiale delle esecuzioni di massa dell’Isis, o come si chiama oggi, tendano principalmente a suscitare una tale reazione di ribrezzo, repulsione e odio da parte degli occidentali tali da indurli a chiudere le frontiere e a fare in modo da separare nettamente le due comunità. Gli islamici sanno che il nostro modo di vivere risulta straordinariamente attraente, e che la religione non può resistere a certi colpi inferti dalla modernità: basta guardare cosa era la cattolicissima Italia sessanta o settanta anni fa e cosa è oggi. Certo gli ultimi Papi sanno perfettamente come riempire le piazze, ma di certo per riempire le piazze si sono svuotate le chiese.

Anni fa ebbi modo di avere interessanti discussioni con due o tre amici di religione ebraica. Poiché erano persone straordinariamente intelligenti, mi permisi di chiedere, in maniera abbastanza provocatoria, se non ritenessero che, storicamente, una certa dose di antisemitismo (non sto parlando della Shoah, che fu orridamente altra cosa, ovviamente) non fosse stata in qualche modo accettata dai capi della loro comunità come mezzo per tenere il più possibile unito “il Popolo Eletto”. Non mi risposero in maniera assolutamente negativa. Una delle ragioni degli attentati terroristici (ma, ribadisco, non la sola) potrebbe essere questa.

Non per nulla è infatti l’industria del turismo uno degli attentati preferiti dai fondamentalisti. I francesi, con la loro franciosa natura, come bene diceva il nostro Benvenuto e la loro grandeur, non sopportavano il fatto che fossero gli americani ad aver costruito il più grande jet di linea, il Boeing 747, e iniziarono a lavorare, nel 1988, su un gigante da ottocento posti, l’Airbus 380. “Non costruitelo” dissero gli americani “darà problemi di sicurezza negli aeroporti e in futuro non ci sarà bisogno di un velivolo del genere per il turismo.” Evidentemente gli americani avevano visto giusto: oggi gli A-380, flop commerciale, servono soprattutto per portare pellegrini islamici alla Mecca, che possono così essere insigniti del titolo di “Haji” (pellegrino) e acquistano il diritto di portare la barba a collare.

Ma chi a altri ha interesse ad una netta suddivisione tra Occidente e Islam? E chi, invece non ha alcun interesse a questa suddivisione?

* - Gioco di parole quasi intraducibile in italiano: le donne non sono uomini-femmina.
** - Lassista e permissivo.
* -Vestirsi con l’abito da sera (quello che noi chiamiamo smoking e i britannici dinner-jacket) per andare a cena.

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