Premessa: alcune delle considerazioni che espongo in questo articolo e
in altri che seguiranno spero, a breve, saranno riprese da alcune mie risposte ad
articoli già comparsi su questo blog. Mi scuso con i lettori, ma cercherò di
dare una veste il più possibile sistematica alle conoscenze che mi derivano dal
fatto che la mia famiglia ha vissuto ininterrottamente dal 1967 al 1989 (io,
fortunatamente, meno...) nel paese che ha inventato l’integralismo islamico
“moderno”, sotto la Monarchia Senussita prima, sotto la dittatura gheddafiana
poi.
Non sono un esperto di politica,
sociologia o filosofia, ma mi è capitato di osservare fatti tali da portarmi a
fare alcune domande al di fuori del mio specifico campo di competenza, domande alle
quali cerco soluzioni da parte di coloro i quali a questi argomenti hanno
dedicato la loro passione e i loro studi.
Inoltre tendo a parlare
esclusivamente di fatti e cose di cui ho personale esperienza e quindi mi scuso
se citerò ricordi privati.
Via Balbia, tra Tobruk e Derna,
estate 1968. Sul ciglio della strada, proveniente da chissà quale cabila in mezzo al deserto cammina un
vecchio Arabo, a chilometri di distanza da ogni insediamento stabile
conosciuto. Ci fermiamo, e siccome nel deserto non ci si comporta come in via
Montenapoleone quando si incontra un estraneo, urbanamente ci presentiamo
vicendevolmente. Il libico parla bene l’italiano, è stato sergente maggiore
delle truppe libiche, ed è stato anche decorato con “medaglia di bronszo”. Dove andiamo? A visitare le rovine di Cyrene,
gli diciamo. Dove va? A pregare sulla tomba di un famoso marbut, ci dice. E’ parecchi chilometri di distanza, diciamo noi,
sulla nostra strada, se vuole possiamo dargli un passaggio, risparmierà molto
tempo e fatica. Il vecchio Sergente libico ci fa capire che del tempo
risparmiato non avrebbe saputo cosa farsene e, riguardo alla fatica, era perfettamente
abituato a camminare nel deserto, di notte troverà qualche sterpaglia per farsi
il tè e riscaldarsi. Es salam aleicum, es
salam aleicum. Lasciamo il vecchio Arabo che si allontana dietro di noi.
Dopo qualche decina di chilometri incontriamo una famigliuola. Il marito, con indosso un bell’impermeabile, un asciugamano stretto attorno al collo e l’immancabile fez in testa, è in groppa a un asinello che ricorda molto quelli una volta presenti dalle mie parti: la moglie avvolta nel barracano tradizionale, segue a piedi, che con una mano regge sulla testa un voluminoso fagotto e con l'altra tiene una ragazzina di una decina d'anni. A, seguire, in scaletta, un ragazzino di otto o nove, uno di sette o otto, una ragazzina di cinque o sei.
Domanda: cosa succederà all'Islam quando il vecchio sergente libico dovrà lavorare sino a sessantasette anni e non potrà avere il tempo per andare a pregare sulla tomba del famoso marbut? E quando sarà la donna a voler montare sull'asinello e vorrà che il marito vada a piedi reggendo il fagotto e tenendo per mano i figli? E cosa succederà all'Islam quando il marito, anziché andare sull' asinello, penserà che, se l'Emiro o il Dittatore che governa il suo Paese rinuncerà a qualche Rolls-Royce o Ferrari, lui potrà acquistare una Peugeot 404 come quelle che passano ogni tanto sul rettilineo che si stende a perdita d’occhio tra un orizzonte e l’altro, stracariche di gente dentro e di fagotti sul tetto? E che quando vorrà potrà seriamente esprimere con un voto il suo gradimento per chi lo governa, come fa il cugino emigrato in Francia o Belgio? Ma vorrà e potrà l’arabo in groppa all’asinello lavorare con i ritmi di una catena di montaggio alla Marchionne per potersi comprare l’auto, anziché dedicarsi alle lunghe pause così indispensabili per prepararsi un tè alla menta come si deve discettando con i suoi amici, tutti comodamente sdraiati per terra su una stuoia stesa ad un angolo di marciapiede?
Personalmente avrei l’impressione
che non solo i governanti ma anche i governati nei paesi mussulmani siano
sostanzialmente uniti nel pensiero che “Se
vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che nulla cambi” parafrasando
l'abusata frase del Principe Tancredi Falconeri: l’Occidente, per l'Islam,
rappresenta un pericolo mortale, come qualsiasi forma di modernità che non
possa essere rigidamente controllata dal potere per fare quella che una volta
veniva chiamata propaganda, come la tv o in qualche misura Internet. Possono
pertanto le stragi di Parigi essere interpretate come un segno di debolezza e
non di forza, nel senso che sono proprio gli islamici a temere che i nostri
modi di vita siano così perniciosi da annacquare non solo la loro fede ma tutto
il loro sistema di vita, per cui siano loro a non volere una vicinanza
multiculturale e tantomeno l’integrazione?
Ma da dove deriva questo terrore dell’Islam per un certo
tipo di “modernità”, che permette loro di usare lo smartphone ma non permette
alle donne di guidare l’auto?
Nelle prossime puntate cercherò, nei limiti delle mie
possibilità e conoscenze e nell’ambito delle mie convinzioni, di rispondere a
questa domanda.
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