Mia Mamma racconta ancora che quando era piccola, sei o
sette anni, negli anni ’30, giocando in giardino si conficco in un tallone la
punta di un chiodo arrugginito. Fortunatamente non venne il tetano ma l’infezione
si, per cui il piede si gonfiò ed iniziò ad uscire il pus.
La Nonna, donna pratica di campagna, chiamò il Nonno: “Imperantoni! (Pietroantonio...) vai in
giardino e prendimi una foglia di fico d’India! Ma di quelle giovani, ancora
verde!”
Le donne delle mie parti sono aduse ad essere immediatamente
obbedite, per cui Nonno esegue prontamente: la Nonna apre in due la foglia di
fico d’india e la applica con una fasciatura al piedino.
La mattina dopo il piede è sgonfio, il pus è tutto defluito e
la ferita è in via di guarigione.
Mi viene in mente questo episodio quando leggo tutte le
disquisizioni di coloro che blaterano di cure naturali, diete vegane, stop alla
ricerca farmaceutica con sperimentazione animale, che la chemioterapia sia una mistificazione per far guadagnare miliardi alle case farmaceutiche etc.
Quanti di questi che, recatisi per un simile caso in un pronto soccorso, vedendosi curati con una mezza foglia di fico d’india anziché con il più recente antibiotico, non denuncerebbero immediatamente i medici, gli infermieri e il Ministro della (mala)Sanità?
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