Non sono un esperto di politica, sociologia o filosofia, ma mi è
capitato di osservare fatti tali da portarmi a fare alcune domande al di
fuori del mio specifico campo di competenza, domande alle quali cerco
soluzioni da parte di coloro i quali a questi argomenti hanno dedicato
la loro passione e i loro studi.
Inoltre tendo a parlare esclusivamente di fatti e cose di cui ho personale esperienza e quindi mi scuso se cito ricordi privati.
Via Balbia, tra Tobruk e Derna, estate 1968. Sul ciglio della strada,
proveniente da chissà quale cabila in mezzo al deserto cammina un
vecchio Arabo, solo e a piedi, a chilometri di distanza da ogni
insediamento stabile conosciuto. Ci fermiamo, e siccome nel deserto non
ci si comporta come in via Montenapoleone quando si incontra un
estraneo, urbanamente ci presentiamo vicendevolmente. Il libico parla
bene l’italiano, è stato sergente maggiore delle truppe libiche, ed è
stato anche decorato con medaglia di bronzo. Dove va? A pregare sulla
tomba di un famoso marbut, ci dice. E’ parecchi chilometri di distanza,
diciamo noi, sulla nostra strada, se vuole possiamo dargli un passaggio,
risparmierà molto tempo e fatica. Il vecchio Sergente libico ci fa
capire che del tempo risparmiato non avrebbe saputo cosa farsene e,
riguardo alla fatica, era prefettamenbte abituato a camminare nel
deserto, di notte troverà qualche sterpaglia per farsi il tè e
riscaldarsi. Es salam aleicum, es salam aleicum. Lasciamo il vecchio Arabo che si allontana dietro di noi.
Dopo qualche decina di chilometri incontriamo una famigliuola. Il
marito, con indosso un bell’impermeabile, un asciugamano attorno al
collo e l’immancabile fez in testa, è in groppa a un asinello che
ricorda molto quelli una volta presenti dalle mie parti: segue la
moglie a piedi, avvolta nel barracano tradizionale, che con una mano
regge sulla testa un voluminoso fagotto e con l'altra tiene una
ragazzina di una decina d'anni. A, seguire, in scaletta, un ragazzino di
otto o nove, uno di sette o otto e infine una ragazzina di cinque o
sei.
Domanda: cosa succederà all'Islam quando sarà la donna a voler montare
sull'asinello e vorrà che il marito vada a piedi reggendo il fagotto e
tenendo per mano i figli? E cosa succederà all'Islam quando il marito,
anziché andare sull' asinello, penserà che, se l'Emiro o il Dittatore
che governa il suo Paese rinuncerà a qualche Rolls-Royce o Ferrari, lui
potrà acquistare una Peugeot 404 come quelle che passano ogni tanto sul
rettilineo che si stende a perdita d’occhio tra un orizzonte e l’altro? E
che quando vorrà potrà seriamente esprimere con un voto il suo
gradimento per chi lo governa, come fa il fratello o il cugino emigrato
in Francia o Belgio? Ma vorrà e potrà l’arabo in groppa all’asinello
lavorare con i ritmi di una catena di montaggio alla Marchionne per
potersi comprare l’auto, anziché dedicarsi alle lunghe pause così
indispensabili per prepararsi un tè alla menta come si deve?
Personalmente avrei l’impressione che governanti e governati nei paesi
mussulmani siano sostanzialmente uniti nel pensiero che “Se vogliamo che
tutto rimanga com'è bisogna che nulla cambi” parafrasando l'abusata
frase del Principe Tancredi Falconeri: l’Occidente, per l'Islam
rappresenta un pericolo mortale, come qualsiasi forma di modernità che
non possa essere rigidamente controllata dal potere per fare quella che
una volta veniva chiamata propaganda, come la tv o in qualche misura
Internet. Può pertanto la strage di Parigi essere interpretata come un
segno di debolezza e non di forza, nel senso che sono proprio gli
islamici a temere che i nostri modi di vita siano così perniciosi da
annacquare non solo la loro fede ma tutto il loro sistema di vita, per
cui siano loro a non volere una vicinanza multiculturale e tantomeno
l’integrazione?
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