Come più
volte detto in questo Blog, mio Padre fu per ventidue anni il General Manager
di una grossa Impresa di costruzioni in Libia e, come appunto General Manager,
dovette spesso sbrogliare delicate faccende, che poco avevano a che fare con il
calcestruzzo o i movimenti terra.
Teneva una
specie di diario di cantiere con i suoi famosi “duplicate books”, pregiato esempio di cancelleria britannica, che
purtroppo sono andati persi: ma sostanzialmente era un tipo di pochissime
parole per cui tutti questi fatterelli provengono o dai ricordi di mia Madre,
che soprattutto negli ultimi anni, sorretta beata lei da una memoria di ferro
nonostante l’età, non lesina i ricordi, o di suoi tecnici ed operai che ho
avuto modo di conoscere.
Spesso si
occupò di lavori militari, come la costruzione di aeroporti ed altre faccende delicate,
per cui aveva contatti pressoché quotidiani con il Capo dei Servizi segreti.
Anzi, fu
proprio durante la costruzione di un Aeroporto che ebbe modo di intravvedere il
“Capo Supremo”, il quale, per evidenti ragioni, in pubblico non compariva
spesso.
Mio Padre era
in cantiere e stava dando disposizioni davanti a un disegno poggiato su un
banco da ferraioli quando, in maniera del tutto inaspettata, entrò una
limousine scortata da diversi fuoristrada armati.
Dalla limo
scende il Colonnello Capo dei Servizi e il “Capo Supremo” che, senza
allontanarsi dall’auto inizia a guardarsi attorno con aria compiaciuta per
l’andamento dei lavori.
Il Capo dei
Servizi e mio Padre si guardano, il Colonnello alza un sopracciglio, cosa del
tutto sufficiente avendo mio Padre trascorso prima della Libia nove anni in
Sicilia, per cui, con aria da boy-scout, prosegue tranquillamente a dare le sue
disposizioni come se niente stesse accadendo.
Gheddafi si
avvicina all’orecchio del Capo dei Servizi e gli mormora qualcosa del tipo: “Chi è quello?”
“Quello non uno così…” risponde il
Colonnello, facendo ondeggiare la mano davanti al viso imitando il movimento
del serpente. “Quello uno così:.:”
dice questa volta con la mano che traccia una linea retta davanti al naso. “Ahhh…” annuisce Gheddafi, che risale in
macchina e se ne va…
Questa
amicizia con il Capo dei Servizi valse a scongiurare a qualche imprudente
operaio se non il provarle, almeno un più lungo soggiorno nelle galere libiche,
che i libici amavano somministrare a chi facesse qualcosa di che a loro non
garbava. Ci si ricorderà del volo di Sgarbi per cercare di liberare un operaio
italiano trattenuto in Libia nel 1992 (mio Padre andò in pensione nel 1989, a
sessantaquattro anni, ma avrebbe voluto lavorare ancora.)
Uno dei casi
che dovette dipanare fu il cosiddetto “caso del camaleonte”.
Un operaio,
in chissà quale posto del deserto, aveva trovato un camaleonte, che aveva immediatamente
adottato e del quale era, pare, divenuto amicissimo per cui, quando finalmente
venne il sospirato periodo della licenza, pensò bene di portarlo con se in
Italia, e non trovò mezzo di trasporto migliore del taschino della sua giacca.
Salito sull’aereo
il segnale “Fasten seat belts” sta
per accendersi quando salgono a bordo alcuni poliziotti per fare l’ultimo
controllo: sfortunatamente il camaleonte non trova momento migliore per fare
capolino.
I poliziotti
intimano al malcapitato di scendere immediatamente dall’aereo e fanno cenno al
Pilota di partire immediatamente.
Il giorno
dopo, messaggi preoccupati dall’Italia: “Ma
come? Mio marito doveva essere a casa ieri. Come mai non è arrivato?”. La
preoccupazione monta anche dall’altra parte del telefono “Signora, suo marito è stato accompagnato all’aeroporto ed è stato
visto imbarcarsi sull’aereo… faremo ricerche…”
A questo
punto occorre precisare che le comunicazioni tra la Libia e l’Italia erano
estremamente difficili. Tutte le linee telefoniche erano controllate, ci
volevano ore ed ore per ottenere la comunicazione (solo Libia-Italia, non
viceversa) di teleselezione neppure a parlarne, e i messaggi venivano scambiati
mediante telescrivente, facilmente controllabile dalla polizia.
L’indomani,
visita al capo dei Servizi. “Colonnello,
è sparito un mio operaio…”
“Davvero? Mi attivo subito…” risponde il
Colonnello. “Mister Vittorio, vieni
stasera a cena a casa mia, che ne parliamo…”
Nell’arabo
non esiste il Lei o il Voi, si dà del tu a tutti, ma il “Tu” che si dà al Capo
è diverso dal “Tu” che si dà al ragazzino che prepara il tè. E non credo occorra
precisare che per un Arabo, per quanto Colonnello e Capo dei Servizi, la parola
“subito..” non ha la stessa valenza
che ha per uno svizzero. Buchran, inch’Allah…
domani, ma solo se Dio vuole, nel dialetto del Nord Africa. E se non sarà
domani sarà un altro giorno…
Mio padre si
presenta a cena.
“Bene, Mister Vittorio, prego…”
La cena
inizia e il Colonnello, che conversa amabilmente in un ottimo italiano, vuole
avere il parere di mio Padre su alcune faccende.
“Ma il mio operaio?” si azzarda a
chiedere mio Padre verso la fine della cena.
“Ancora non ho avuto notizie…” svicola
il Colonnello “anzi Mr. Vittorio, vieni a
cena anche domani, così ne parliamo…”
Stessa storia
l’indomani e per una ventina di giorni di seguito.
Conoscendo
mio Padre ed il suo uso calvinista del tempo penso che la cosa sia stata per
lui una vera “prova da sforzo”. Anche dal punto di vista alimentare: le
pietanze che venivano servite erano tutte piccanti in maniera incendiaria per i
nostri gusti, strano che non si sia beccato un’ulcera gastrica.
Dopo appena
una ventina di giorni finalmente il colonnello “Si, domani darò l’ordine di rilasciarlo. Lo metteremo sull’aereo, ma
che non rimetta più piede in Libia…”
Cosa aveva
fatto il tapino, oltre ad avere cercato di esportare illegalmente un camaleonte?
Questo
operaio aveva veramente una straordinaria mano per le caricature. A seguito
dell’arresto per il camaleonte la polizia aveva naturalmente controllato il suo
bagaglio ed aveva trovato, ahilui, non solo le caricature dei compagni di
lavoro ma quelle di Gheddafi e di altri capi della Jamahiriya, cosa gravissima.
E, come il
caso di Charlie Ebdo ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio, gli arabi
risultano particolarmente sensibili quando si tratta di caricature.
Fortunatamente
per lui, se la cavò “solo” con una ventina di giorni di galera libica.
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