domenica 22 ottobre 2017

Il camaleonte e Charlie Ebdo



Come più volte detto in questo Blog, mio Padre fu per ventidue anni il General Manager di una grossa Impresa di costruzioni in Libia e, come appunto General Manager, dovette spesso sbrogliare delicate faccende, che poco avevano a che fare con il calcestruzzo o i movimenti terra. 

Teneva una specie di diario di cantiere con i suoi famosi “duplicate books”, pregiato esempio di cancelleria britannica, che purtroppo sono andati persi: ma sostanzialmente era un tipo di pochissime parole per cui tutti questi fatterelli provengono o dai ricordi di mia Madre, che soprattutto negli ultimi anni, sorretta beata lei da una memoria di ferro nonostante l’età, non lesina i ricordi, o di suoi tecnici ed operai che ho avuto modo di conoscere.

Spesso si occupò di lavori militari, come la costruzione di aeroporti ed altre faccende delicate, per cui aveva contatti pressoché quotidiani con il Capo dei Servizi segreti.
Anzi, fu proprio durante la costruzione di un Aeroporto che ebbe modo di intravvedere il “Capo Supremo”, il quale, per evidenti ragioni, in pubblico non compariva spesso.
Mio Padre era in cantiere e stava dando disposizioni davanti a un disegno poggiato su un banco da ferraioli quando, in maniera del tutto inaspettata, entrò una limousine scortata da diversi fuoristrada armati.

Dalla limo scende il Colonnello Capo dei Servizi e il “Capo Supremo” che, senza allontanarsi dall’auto inizia a guardarsi attorno con aria compiaciuta per l’andamento dei lavori.
Il Capo dei Servizi e mio Padre si guardano, il Colonnello alza un sopracciglio, cosa del tutto sufficiente avendo mio Padre trascorso prima della Libia nove anni in Sicilia, per cui, con aria da boy-scout, prosegue tranquillamente a dare le sue disposizioni come se niente stesse accadendo.
Gheddafi si avvicina all’orecchio del Capo dei Servizi e gli mormora qualcosa del tipo: “Chi è quello?”
“Quello non uno così…” risponde il Colonnello, facendo ondeggiare la mano davanti al viso imitando il movimento del serpente. “Quello uno così:.:” dice questa volta con la mano che traccia una linea retta davanti al naso. “Ahhh…” annuisce Gheddafi, che risale in macchina e se ne va…

Questa amicizia con il Capo dei Servizi valse a scongiurare a qualche imprudente operaio se non il provarle, almeno un più lungo soggiorno nelle galere libiche, che i libici amavano somministrare a chi facesse qualcosa di che a loro non garbava. Ci si ricorderà del volo di Sgarbi per cercare di liberare un operaio italiano trattenuto in Libia nel 1992 (mio Padre andò in pensione nel 1989, a sessantaquattro anni, ma avrebbe voluto lavorare ancora.)
Uno dei casi che dovette dipanare fu il cosiddetto “caso del camaleonte”.

Un operaio, in chissà quale posto del deserto, aveva trovato un camaleonte, che aveva immediatamente adottato e del quale era, pare, divenuto amicissimo per cui, quando finalmente venne il sospirato periodo della licenza, pensò bene di portarlo con se in Italia, e non trovò mezzo di trasporto migliore del taschino della sua giacca.
Salito sull’aereo il segnale “Fasten seat belts” sta per accendersi quando salgono a bordo alcuni poliziotti per fare l’ultimo controllo: sfortunatamente il camaleonte non trova momento migliore per fare capolino.
I poliziotti intimano al malcapitato di scendere immediatamente dall’aereo e fanno cenno al Pilota di partire immediatamente.

Il giorno dopo, messaggi preoccupati dall’Italia: “Ma come? Mio marito doveva essere a casa ieri. Come mai non è arrivato?”. La preoccupazione monta anche dall’altra parte del telefono “Signora, suo marito è stato accompagnato all’aeroporto ed è stato visto imbarcarsi sull’aereo… faremo ricerche…”
A questo punto occorre precisare che le comunicazioni tra la Libia e l’Italia erano estremamente difficili. Tutte le linee telefoniche erano controllate, ci volevano ore ed ore per ottenere la comunicazione (solo Libia-Italia, non viceversa) di teleselezione neppure a parlarne, e i messaggi venivano scambiati mediante telescrivente, facilmente controllabile dalla polizia.

L’indomani, visita al capo dei Servizi. “Colonnello, è sparito un mio operaio…”
“Davvero? Mi attivo subito…” risponde il Colonnello. “Mister Vittorio, vieni stasera a cena a casa mia, che ne parliamo…”
Nell’arabo non esiste il Lei o il Voi, si dà del tu a tutti, ma il “Tu” che si dà al Capo è diverso dal “Tu” che si dà al ragazzino che prepara il tè. E non credo occorra precisare che per un Arabo, per quanto Colonnello e Capo dei Servizi, la parola “subito..” non ha la stessa valenza che ha per uno svizzero. Buchran, inch’Allah… domani, ma solo se Dio vuole, nel dialetto del Nord Africa. E se non sarà domani sarà un altro giorno…
Mio padre si presenta a cena.
“Bene, Mister Vittorio, prego…”
La cena inizia e il Colonnello, che conversa amabilmente in un ottimo italiano, vuole avere il parere di mio Padre su alcune faccende.
“Ma il mio operaio?” si azzarda a chiedere mio Padre verso la fine della cena.
“Ancora non ho avuto notizie…” svicola il Colonnello “anzi Mr. Vittorio, vieni a cena anche domani, così ne parliamo…”
Stessa storia l’indomani e per una ventina di giorni di seguito.

Conoscendo mio Padre ed il suo uso calvinista del tempo penso che la cosa sia stata per lui una vera “prova da sforzo”. Anche dal punto di vista alimentare: le pietanze che venivano servite erano tutte piccanti in maniera incendiaria per i nostri gusti, strano che non si sia beccato un’ulcera gastrica.
Dopo appena una ventina di giorni finalmente il colonnello “Si, domani darò l’ordine di rilasciarlo. Lo metteremo sull’aereo, ma che non rimetta più piede in Libia…”
Cosa aveva fatto il tapino, oltre ad avere cercato di esportare illegalmente un camaleonte?
Questo operaio aveva veramente una straordinaria mano per le caricature. A seguito dell’arresto per il camaleonte la polizia aveva naturalmente controllato il suo bagaglio ed aveva trovato, ahilui, non solo le caricature dei compagni di lavoro ma quelle di Gheddafi e di altri capi della Jamahiriya, cosa gravissima.
E, come il caso di Charlie Ebdo ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio, gli arabi risultano particolarmente sensibili quando si tratta di caricature.
Fortunatamente per lui, se la cavò “solo” con una ventina di giorni di galera libica.

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