Panurge, per vendicarsi di un mercante che l'aveva schernito, compra da lui un montone, indi lo getta in mare, e fa annegare così tutto il gregge che si precipita dietro al montone assieme ai mercanti e ai pastori che cercano di salvare il gregge.
Rabelais, Gargantua e Pantagruele.
O, se preferite, l’analogo episodio di Cingar nel Baldus di Teofilo Folengo.
Poichè gli esperti dell’articolo si divertoro a buttare giù cifre, mi ci diverto un po’ anche io.
Nel 1982 acquistai un’auto, una Giulietta 1600 targata, allora erano in uso le vecchie targhe di immatricolazione, 395mila e rotti. Nel 1994 acquistai un’altra auto, targata 756mila e rotti.
Nell’intervallo di tempo tra il 1982 e il 1994, dodici anni, vennero quindi vendute nella mia Provincia, allora più o meno 800.00 anime, prima di una sciagurata suddivisione, circa 756 mila meno 395 mila uguale 360.000 auto, auto più, auto meno.
360.000 auto diviso dodici anni dà 30.000 auto all’anno.
Assumendo, molto prudenzialmente, a valori riportati all’attualità, un costo medio per auto di 20.000 euro otteniamo un giro di affari, per sole autovetture di nuova immatricolazione, pari a 30.000 auto x 20.000 €/auto, ossia la bellezza di 600.000.000 di euro/anno.
Seicento milioni di euro, per la sola vendita di auto nuove, per un anno e per la mia sola provincia, una Provincia povera, rispetto agli standard medi italiani.
E senza contare l’indotto: materiali di consumo, riparazioni, revisioni delle auto già in circolazione, che farebbe lievitare quella cifra, come spannometricamente affermano gli Esperti dell’articolo, “almeno del doppio”.
Considerando che una cifra tra il tre e il cinque per cento del fatturato di un’azienda viene speso in pubblicità e promozione, anche qui prudenzialmente, 600 milioni di euro per 0,03 dà l’astronomica cifra di 18.000.000 euro (diciotto milioni di euro) da spendere appunto in pubblicità e “promozione”.
Anche solo l'uno per cento darebbe sei milioni di euro.
Tenere sempre presente, solo nella mia sottopopolata e povera provincia: fate voi le necessarie mltiplicazioni e addizioni per le restanti Province italiane.
E, venendo al dunque, non credo che pubblicità e “promozione” vogliano dire esclusivamente spot televisivi e acquisto di pagine di quotidiani locali.
Sarà per questo motivo che nessuna delle grandi città italiane ha un sistema di trasporto pubblico degno di questo nome? Che nel mio capoluogo, dopo l’abolizione dei tram alla fine degli anni ’60 si sono dovuti attendere quarant’anni per vedere una prima linea di metropolitana leggera di superficie?
“Quello che va bene alla TIAC va bene all’Italia!” affermava l’Amministrator Delegato di una nota Casa automobilistica molti anni fa.
Per quanto riguarda la TAV è sufficiente che il Panurgo di turno acquisti il montone capobranco, lo paghi quel che si deve e le pecore seguiranno, gratis. Lo aveva gia individuato Jacques Maritain molti anni fa.
E’ stato così per il nucleare, e per decine di altre scelte strategiche della politica italiana. Gli Italiani sono stati gli artefici del proprio destino!
Esattamente vent’anni fa, 1995 o ‘96, ho fatto una vacanza
su strade e autostrade francesi percorrendo quasi ottomila km in auto.
Ovviamente, l’occhio, modestia a parte, esperto, si fermava
sulla progettazione plano-altimetrica, sul design di viadotti e di cavalcavia e
sulla qualità dei calcestruzzi impiegati, sulle planarità del “tappetino di
usura”, sui modelli di new-jersey e guard-rail, per finire con la segnaletica
orizzontale.
Tutto assolutamente perfetto, assolutamente da manuale.
A un certo punto mi incaponii e mi concentrai per alcune
centinaia di km cercando di individuare una buca o un’imperfezione qualsiasi.
Non ne ho trovato.
E non si creda che i Franzesi, con la loro franciosa natura,
mi siano simpatici, in quel viaggio per poco non attaccai al muro due o tre
osti bricconi per la supponenza con la quale ti sbattevano un piatto sul tavolo
quando capivano che eravamo italiani, ma dal punto di vista tecnico delle loro
strade e autostrade niente da dire, da restare veramente ammirati, chapeau.
Non ho mai utilizzato il treno in Francia, ma se i treni
sono come le strade e le autostrade…
Nel secondo dopoguerra la Francia ebbe una deriva come
quella italiana. Negli anni ’60 un generale spilungone una volta ebbe a dire,
più o meno: “Francesi, vogliamo finire come
gli Italiani? Non abbiamo che da seguire il loro esempio.” Tutti sanno come
andarono le cose. Oggi è sufficiente osservare la TAV lato francese e la TAV
lato italiano.
Che vergogna.
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