martedì 21 gennaio 2025

Per il ritorno ad un sano studio a memoria

 https://www.facebook.com/photo?fbid=1143980444401495&set=a.446413127491567

 

Apri la mente a quel ch’io ti paleso

e fermalvi entro; ché non fa scienza,

sanza lo ritenere, avere inteso.

Commedia, IIIa, V°, vv. 40-42

 

14.2 La natura dell’engramma

Alla base di qualsiasi prestazione di carattere superiore sta la memoria, la cui presenza, in un modo o nell’altro, è stata dimostrata in tutti i gruppi di animali aventi un sistema nervoso centralizzato, persino nelle planarie.

Irenäus Eibl-Eibesfeldt, I fondamenti dell’etologia, Adelphi, pag. 438.

 

Oltre a tutto quello visto prima, e come se non ce ne fosse più che abbastanza, un ulteriore terribile martello demolitore si è abbattuto da sulla Scuola italiana: vale a dire la totale dismissione di qualunque forma, anche minima, di studio a memoria.

Ho studiato Ingegneria, una Facoltà nella quale, per poter ambire al titolo agognato, mi pare sia chiaro occorra penetrare in delicati meccanismi concettuali, e della quale di certo non si può dire che sia sufficiente per superare gli esami studiare pagine e pagine a memoria senza capire. Sempre che una simile Facoltà possa esistere, ovviamente, cosa della quale mi permetto di dubitare. Ma, anche nella Facoltà di Ingegneria, di cose a memoria ne ho dovuto studiare, letteralmente, a vagonate.

Il tutto iniziò già con il primo esame di Analisi I. Cercavo di risolvere un esercizio, senza riuscirci. Io provenivo dal Liceo Classico e, per quanto certi argomenti li avessi, sia pure molto parzialmente, visti, la mia preparazione di base in Matematica non era certo quella di chi proveniva dal Liceo scientifico. Andai dunque dall’Assistente, che mi disse: “… Beh, semplicissimo. Basta applicare le Formule di prostaferesi…” o qualcosa del genere. Rimasi un po’ interdetto e l’Assistente se ne accorse: “…ah, ma non conosci le Formule della Trigonometria a memoria? Molto male, le Formule della Trigonometria occorre conoscerle tutte perfettamente a memoria per poter svolgere gli esercizi.”

Fortunatamente, grazie a una Nonna Maestra, nata nel 1901, che insegnava negli anni ’40 l’abbiccì nelle zone più povere della Sardegna, quando l’abbiccì era ancora roba da grande città, e che da bambino mi insegnava quintalate di poesie a memoria

Esiste in Italia una Fata

Esperta di frutticoltura

Che è tutta vestita e formata

Di splendida frutta matura...

non ho mai avuto problemi a ricordare le cose. Anzi, come il famoso personaggio di J.L.Borges, morirò di troppa memoria, per cui ricordare le formule della Trigonometria non fu di certo troppo difficile.

Sempre all’Università, arrivato al quinto anno, il Professore di una importante materia, durante la prima lezione del Corso, ci mostrò un fascicolo di oltre cento pagine. “Questa è la normativa CNR-UNI che regola l’argomento” ci disse, “inutile girarci intorno, deve essere conosciuta perfettamente a memoria.”

Finito il Corso, all’esame mi presento di fronte alla lavagna.

Il Professore ha in serbo per me la domanda più difficile: torsione nei profilati metallici a doppio T.

“Sia dato un profilato del tipo HEB 400 sottoposto ad un momento torcente di etc . Calcoli le tensioni principali.”

Mi giro, il gesso stride sulla lavagna, la riempio di calcoli, abbasso la lavagna superiore, del vecchio tipo “a ghigliottina”, riempio anche quella e ottengo finalmente il risultato.

“Tot kg/cm2, Professore.”

“Bene. E questa tensione è una tensione ammissibile o no?”

“Secondo la Normativa CNR-UNI, se uso un acciaio del tipo tal dei tali, si, Professore.”

“Bene, può andare, trenta.”

Un po’ ancora mi rode perché non mi diede la lode, ma me ne sono fatto una ragione.

Per qualsiasi tipo di conoscenza la memoria non è un optional, ma uno strumento indispensabile se si vuole arrivare a conoscere la realtà, e ben lo sapevano i docenti di una volta: la professoressa di Italiano che avevo in Prima Liceo Classico ti fulminava con lo sguardo se, della “Divina Commedia”, non imparavi a memoria almeno un buon terzo di ogni Canto studiato.

Nella mitologia greca esisteva addirittura una Dea, Mnemosyne, che “sovrintendeva” alla memoria: figlia di Urano, il cielo, e Gea (la Terra) venne amata da Giove e dal connubio, a tempo debito, nacquero le Muse, protettrici di ogni campo della sapienza umana.

Come dire: “... è dalla memoria che discende la sapienza.”

Una delle ragioni, spesso non adeguatamente evidenziata, della morte sul rogo di Giordano Bruno, furono i suoi studi di mnemotecnica: per Bruno memoria e gnoseologia sono assolutamente interconnesse, e questo venne visto con grande sospetto dalla Chiesa Cattolica.

Oggi tutto questo è crollato e la mente nostri alunni è identica a una di quelle lavagne di ardesia: uno straccio umido è sufficiente per cancellare in pochi istanti tutto e per sempre.

Una volta far imparare qualcosa a memoria era non dico semplice ma almeno possibile: “Chi conosce una poesia memoria?” chiedevo tanti anni fa. Qualcuno alzava mano e iniziava

“Io!

La nebbia agli irti colli

Piovigginando sale

E sotto il maestrale

Urla e biancheggia il mar…”

Già una decina di anni fa la cosa era diventata più difficile: quando chiedevo se qualcuno conosceva a memoria qualche poesia gli occhi si aprivano sbarrati e nessuno dava più una risposta. Poi con aria furbetta qualcuno alzava la mano e mi snocciolava

”Si, Professore, io!”

“Dimmi.”

“Mi illumino d’immenso.”

Behh, perlomeno quella. Oggi, neppure quella.

Mi è sempre piaciuto particolarmente insegnare “Disegno Tecnico” nelle Prime classi dove, dopo aver insegnato a fare correttamente la punta alla matita e a tirare linee più o meno dritte, al giorno d’oggi piuttosto meno che più, date le sempre più ridotte capacità manuali di queste nuove generazioni per cui delle mani le uniche dita efficienti sono i pollici abituati a smanettare sulla playstation, spiego il “Metodo delle doppie proiezioni ortogonali”.

Il “Metodo delle doppie proiezioni ortogonali” o Metodo di Monge, così chiamato perché inventato e codificato dal matematico e Ufficiale napoleonico francese Gaspard Monge (Beaune, 9 maggio 1746 – Parigi, 28 luglio 1818) è, assieme al Calcolo infinitesimale, uno dei monumenti concettuali fondanti la Cultura occidentale ed è la scoperta che ha reso possibile la nostra attuale civiltà tecnologica: fu considerato talmente innovativo e importante da essere insegnato, sotto giuramento del segreto, esclusivamente agli Ufficiali superiori dell’Esercito francese.

Grazie a questo metodo di rappresentazione è infatti possibile, dato un disegno, risalire alle dimensioni esatte dell’oggetto rappresentato o, viceversa, dato un oggetto, risulta possibile costruire le sue proiezioni ortogonali: inutile dire che tutte le produzioni industriali si basano su rappresentazioni eseguite con questo metodo.

In effetti, una volta capite bene le basi concettuali fondamentali non proprio intuitive, dato che occorre avere contemporaneamente sott’occhio due diverse rappresentazioni del medesimo oggetto e, per così dire, “fonderle” mentalmente per poterne ricostruirne la tridimensionalità, questo metodo di rappresentazione è molto semplice, e sorprende un po’ il pensare che questo metodo sia stato codificato solamente alla fine del XVIII° secolo, mentre le regole del disegno prospettico, che risulta di esecuzione più difficile, erano perfettamente note già a partire dal ‘400.

Per cui, munito di modelli tridimensionali appositamente costruiti, di filmati, dei più recenti programmi CAD e del tradizionale gesso sulla lavagna, mi accingo nel secondo quadrimestre di una Prima Geometri a spiegare ai giovanotti e alle giovanotte questo fondamentale metodo di rappresentazione, con il quale avranno a che fare nella prosecuzione degli studi e nella loro vita professionale.

Al termine delle spiegazioni la domanda formale con cui termino tutte le mie lezioni: “Avete capito?”

“Siiiiiiii!” la risposta corale.

“Bene”, rispondo. “Per effettuare correttamente un disegno in proiezioni ortogonali occorre tenere presenti, ovvero studiare a memoria, queste tre semplici regolette, scrivetele sul quaderno:

- Le proiezioni di un punto sul piano verticale e sul piano orizzontale giacciono… sapete cosa significa giacciono?”

Perplessità da parte di qualcuno.

“..giacciono da giacere, significa stanno, si trovano…”

“Ahhhh.”

“…dicevo:

- prima regola: le proiezioni di un punto sul piano verticale e sul piano orizzontale giacciono sempre sulla stessa retta verticale;

- seconda regola: la proiezione di un punto sul piano verticale e sul piano laterale giacciono sempre sulla stessa retta orizzontale;

- terza regola: date due proiezioni qualsiasi la terza proiezione è sempre univocamente… sapete cosa significa univocamente?”

Qualche perplessità, ma qualcuno mi risponde: “Significa in un solo modo e basta.”

“Benissimo.”

“Riprendiamo: date due proiezioni qualsiasi la terza proiezione è sempre univocamente determinata. Avete scritto?”

“Siiiiii!”

Segue sempre una nutrita serie di esempi.

Bene. Per poter eseguire un disegno in proiezioni ortogonali è necessario tenere a mente, ovvero imparare a memoria queste tre regolette, dopo averle capite bene. Scrivetele, attaccatele vicino al letto e prima di andare a dormire leggetele due o tre volte: quando mi chiederete di andare in bagno vi chiederò sempre di ripetermi queste tre regolette, chi non le sa non va in bagno, d’accordo?” dico tra il serio e il faceto.

Dopo qualche settimana:

“Posso andare in bagno?”

“Dimmi le Regole delle proiezioni ortogonali.”

“Vabbé, non vado.”

Mi ci vuole del bello e del buono perché queste tre frasette vengano imparate a memoria e, quando l’anno dopo ho a che fare con i medesimi Alunni nella Classe successiva, mi accorgo che sono state completamente dimenticate: non da tutti gli studenti, fortunatamente, i bravi ci sono ancora ma, come già detto, è la proporzione tra “bravi” e “non bravi” che al giorno d’oggi oggi spaventa.

Insegno questa materia dal 1980, ma sembra siano passati secoli. Ricordo ancora perfettamente che una volta, moltissimi anni fa, quando non esistevano tutti gli ausili didattici che esistono oggi, e gli unici mezzi di trasmissione del sapere erano un pezzo di gesso, una lavagna, la voce dell’Insegnante e il libro di testo, dopo aver spiegato le stesse cose, alla mia proposta di fare qualche ulteriore esempio, tutta la Classe mi rispose all’unisono. “No, Professore, abbiamo capito benissimo! Ci faccia disegnare adesso!”

Ma quali sono state le gravi ragioni che hanno portato a questa “bamboccionizzazione” della maggior parte dei nostri studenti, o meglio, della maggior parte degli studenti del mondo occidentale?

Eppure questi ragazzi affascinati dal computer sanno perfettamente che le capacità di un elaboratore dipendono non soltanto dalla potenza e velocità del microprocessore ma anche da quanta memoria è disponibile.

E non è che i ragazzi di oggi non abbiano le capacità per memorizzare. Infatti, di fronte alle mie rimostranze perché gli studenti non riuscivano a ricordare da una lezione all’altra neppure la più semplice delle formule che avevo spiegato, chiesi se qualcuno, per caso, conoscesse qualcosa, di qualsiasi tipo, a memoria. Un ragazzo alza la mano.

“Io si, Professore!”

“E tu che cosa sai, a memoria?”

“I nomi di tutti i giocatori delle squadre di serie A.”

E mi snocciola tutti i nomi di questi importanti personaggi, dal portiere agli attaccanti e comprese le riserve e l’allenatore.

Ah.

“Ma so anche quelli di tutte le squadre della Champions League.”

E anche qui mi enumera tutti i componenti di queste squadre, dal Manchester United sino alla capolista del campionato slovacco. Un possibile campione di quella trasmissione nazional-popolare di una volta che si chiamava il “Rischiatutto”. Ma che la tensione in un pilastro compresso fosse data dalla formula s = N/A, ovvero che la tensione di compressione in una sezione è uguale ad una forza diviso l’area della superficie questo no, a memoria proprio non riusciva a ricordarlo.

Come si è arrivati a ciò?

Feci il Liceo esattamente a cavallo del ’68, in quell’anno ero in prima liceo e le mie compagne di classe erano di due tipi: le “Suorine” e le “Pasionarie”. Le “Suorine” godevano come pazze nel riempire pagine e pagine di quaderni di verbi irregolari greci e nel conoscere a memoria le date della Pace di Utrecht e di quella delle Due Dame; le Pasionarie, invece, avevano già allora scoperto la frase magica: “…c’è ben altro nella vita, oltre ai Classici latini!”.

Inutile dire che, con le Professoresse di allora, tranne poche eccezioni, le “Suorine” avevano voti molto più alti delle “Pasionarie”, cosa che creava in loro un tremendo livore, per cui, una volta laureatesi e a loro volta diventate professoresse di Lettere, se non Dirigenti di Viale Trastevere, c’è da giurare che ben si guardarono dal chiedere a qualsiasi studente qualcosa a memoria: “ma, no, è inutile, quando più o meno uno studente ha più o meno capito io lo fermo, è sufficiente...” affermava una Collega di Lettere e Storia.

La medesima Insegnante, a me molto cara e purtroppo prematuramente scomparsa, mi riferì di esser stata spesso redarguita dalla Madre, anch’essa Docente di Lettere in pensione, perché non ricordava a memoria un solo verso della “Divina Commedia” o di una qualche poesia: “…ma come fai, Figlia mia, a non ricordarti niente?”

Relativamente poco tempo fa ebbi una discussione piuttosto accesa con una Professionista che assiste psicologicamente i nostri alunni e che sentii intrettenere con i medesimi concetti: “… ma noooo... voi non dovete studiare niente a memoria… è sufficiente che voi leggiate e vi rendiate conto di cosa si tratta… i dettagli non sono importanti”.

Mi sentii avvampare. Come, “i dettagli non sono importanti?” “God is in the detail”, affermava il grandissimo architetto Mies van der Rohe.

“Dottoressa”, mi sentii in dovere di intervenire,” in questa scuola abbiamo degli strumenti così precisi da essere in grado di misurare lo spessore di un capello ad una distanza di svariate decine di metri ed insegnamo come usarli ai nostri alunni. Sarà possibile mettere in mano questi strumenti ad alunni abituati a pensare che ‘tanto, va bene ugualmente’, e che ‘i dettagli non sono importanti’? Qualsiasi ‘Tecnico’ deve possedere un tipo di approccio alla sua professione che curi il dettaglio in maniera quasi maniacale, sia egli un Geometra che deve misurare un terreno, un Ragioniere che deve compilare una denuncia dei redditi o un Cuoco che deve preparare un pranzo di nozze per trecento persone. Ma se lo immagina Lei un Cuoco che dice ‘mahh, questo ingrediente va più o meno bene ma lo uso lo stesso, è un dettaglio, non è importante’?... trecento persone con il mal di pancia dopo il pranzo di nozze.”

Non la prese bene: quando entravo in sala Docenti girava la faccia dall’altra parte ed evitava di salutarmi.

Sono di certo un dinosauro sopravvissuto a diverse ere geologiche, oggi gli esami non sono più di moda: io invece sostenni quello di seconda e quinta Elementare, quello di terza Media, quello di quinta Ginnasio, quella che una volta si chiamava la Maturità, trenta esami universitari, la Tesi di laurea, un Esame di Abilitazione alla professione, un Esame di Abilitazione all’insegnamento, forse qualche altro ma mi sono già stancato a enumerarli. In tutti questi esami, nessuno escluso, la conoscenza che si doveva avere degli argomenti doveva essere assolutamente “puntuale”.

Ai miei tempi si studiava in quinta ginnasio il più famoso romanzo italiano, “I Promessi Sposi” e la conoscenza che ci veniva richiesta di tutti i particolari rasentava il parossismo: come era vestita Lucia per il matrimonio? Di che colore erano le calze? (vermiglie). Com’era il tavolo dell’Osteria della Luna piena? (lungo e stretto, con due panche ai lati) Cosa c’era sopra? (bicchieri, fiaschi, dadi, carte da gioco).

Ho riletto tutto quello che mi era stato proposto alle Scuole superiori, ivi compresa l’”Eneide”, ma “I Promessi Sposi” no, non sono mai riuscito a riaprirlo, e quando ho tentato di farlo mi si è sempre scatenata una crisi di rigetto: ma ebbi comunque un sentimento di gratitudine per la mia Professoressa quando, diventato Ingegnere, mi resi conto che tra un “muro eseguito in pietra e mattoni” e “un muro eseguito in pietra o mattoni” poteva esistere una differenza di decine di milioni, ora di migliaia di euro, eventualmente da pagare di tasca.

Vidi “I Promessi Sposi” in mano alle mie Colleghe di Lettere sino ad una decina di anni fa. Adesso questo romanzo pare non sia più fashionable.

Altra cosa, non so a chi mai sia venuta in mente la sciagurata frase “Insegnare-imparare divertendosi”.

Posso provare piacere, soddisfazione, realizzazione personale nell’insegnare e nell’imparare determinati argomenti e, incredibile dictu, esiste ancora in carne ed ossa anche qualche studente che prova le medesime sensazioni, ma una lezione scolastica non è un film di Stanlio e Ollio e una lezione non è una serie ininterrotta di sghignazzi e cachinni.

“La noia è la componente fondamentale dell’apprendimento” sentii dire una volta a Vittorio Sermonti in una trasmissione radiofonica sulla “Divina Commedia”.

Sarà forse sotto l’insegna dell’”imparare divertendosi” che la divulgazione della più grande opera della Letteratura italiana, dietro lauto compenso s’intende, è stata appaltata oggi a un Comico?

In un lontanissimo passato si studiava nella letteratura italiana che Vittorio Alfieri, la cui determinazione sarebbe bastata per generazioni di studenti italiani odierni, si faceva legare alla sedia per studiare.

Ma, ovviamente, la causa vera del degrado dell’apprendimento in tutto il mondo occidentale si trova ben più a fondo rispetto al “non stressare” i ragazzi con troppe nozioni.

Esattamente come un computer privo di memoria è incapace di svolgere qualsiasi calcolo, così una mente senza memoria è incapace di svolgere un qualsiasi tipo di azione logica e sarà quindi in balia dell’imbonitore di turno, si tratti di acquistare un aspirapolvere del quale non si ha alcun bisogno o di credere in mirabolanti promesse elettorali che verranno dimenticate il giorno stesso del voto.

Creature inanimate che i burattinai che detengono il potere potranno far muovere a loro piacimento: si stanno purtroppo compiendo le più tetre previsioni contenute nel romanzo di Ray Bradbury, Farenheit 451, o quelle, ancora più tetre, di George Orwell in 1984.

La scomparsa dello studio “a memoria” ha le sue ragioni.

 

Nessun commento:

Posta un commento