sabato 25 febbraio 2023

Ingegneri e geometri

 



 

Il post precedente mi ha fatto ripensare a questo post

https://orizzonti-antonello.blogspot.com/2018/08/tragico-viadotto.html

che pubblicai immediatamente dopo il crollo del “Ponte Morandi” di Genova e il cui contenuto era, volutamente, molto sibillino.

Forse è il caso di rendere note alcune considerazioni che feci allora tra me e me, per cercare di fornire qualche ipotesi sulle cause che portarono a quel tragico fatto.

Mi siano consentite alcune premesse.

Mio Padre, nel 1966, firmò un contratto per andare a lavorare il Libia in un cantiere per l’ammodernamento della vecchia via Balbia, e precisamente il 5° lotto, di oltre 350 km, che andava da Derna al confine egiziano.

La sua posizione era quella di “Sovrintendente alle opere d’arte”: no, non aveva nulla a che fare con dipinti e sculture, ma doveva occuparsi di tutte le opere particolari, come ponti, viadotti, attraversamenti stradali, muri di sostegno etc. che, nella costruzione di una strada, vengono appunto definite “opere d’arte” perché, nei secoli passati, di competenza di “maestri”, a differenza della manovalanza non qualificata di scariolanti e sterratori che si occupava della costruzione della strada vera e propria.
Naturalmente aveva due colleghi, uno Sovrintendente ai “Movimenti terra” e un altro responsabile del “Nero”, vale a dire della stesura dei materiali bituminosi di finitura del manto stradale.

Il Direttore del cantiere era un ingegnere, italiano, ma dal cognome uguale a quello di un famoso generale prussiano.

Spesso venivano dall’Italia altri ingegneri per controllare i lavori e, sia per variare la cucina del “campo base”, che si trovava a Tobruk, sia perché la fama della cucina di mia madre si era diffusa un buona parte della Marmarica, ma soprattutto per parlare tranqulillamente di “lavoro”, in quello che gli americani chiamano “shop talking party”, le cene a casa mia erano frequenti.

Premessa 2.

Le foto che corredano questo post sono trate dal progetto di una delle “opere d’arte” di quella strada, in particolare il “Ponte 5-24” (5° lotto – Ponte numero 24) che si stava costruendo a pochi km dalla località di Bardia, dove il famoso generale Rommel ebbe il suo quartier generale.

La firma che appare in una delle tavole è appunto quella di mio Padre.

La costruzione di questo ponte in mezzo al deserto, era tutt’altro che semplice, oltre mezzo secolo fa. La pila centrale, quella sul fondo del wadi, era alta quasi 25 m, vale a dire quanto un palazzo di otto piani, e le difficoltà costruttive notevoli: si pensi che la sabbia doveva arrivare dal decine di km di distanza. In mezzo al deserto? Si: la sabbia del deserto è come la cipria, e non è affatto adatta all’uso in un calcestruzzo ad altissima resistenza quale deve essere quello utilizzato nelle travi “prcompresse”.

Il sistema tecnologico adottato era infatti quello della precompressione mediante “post-tensione a cavi scorrevoli”, brevettato appunto dall’Ing. Morandi che, alla metà deglianni ’60, se non proprio una novità, era allora ancora agli albori.

Veniamo a noi.

Durante una di queste cene, che ricordo come se fosse oggi, mio Padre ebbe a dire all’Ingegnere venuto da Roma: “Ingegnere, la cosa che mi lascia più perplesso è la durata che avranno queste opere nel tempo. Una trentina, massimo una quarantina d’anni e tutte queste opere andranno demolite e rifatte.”

“Ah, Geometra, senza dubbio…” la risposta “…trenta o quarant’anni saranno già molti”.

Io, che sapevo che in capo a due o tre anni avrei lasciato Euripide e mi sarei iscritto a Ingegneria, mi permisi (ero molto giovane…) di interloquirere: “…ma come mai i Romani hanno costruito ponti che resistono nei secoli e questi ponti avranno una vita così breve?”

“Perché il calcestruzzo è un materiale molto poroso, che lascia passare l’acqua” la cortese risposta dell’Ingegnere che aveva costruito opere in cemento armato in tutto il mondo, “…e questo porta alla corrosione del ferro all’interno. La ruggine spacca il calcestruzzo e il fenomeno si evolve sempre più rapidamente, con le conseguenze del caso”.

E veniamo finalmente al “Ponte Morandi”.

Ripeto, si tratta di considerazioni personali, che mi derivano dall’aver tenuto in mano un “doppio decametro” in un cantiere appena ebbi l’età di stare in piedi, proseguita con una Laurea in Ingegneria con il massimo dei voti e la lode e trent’anni di attività libero professionale nel campo delle strutture in cemento armato.

Come detto nel post datato martedì 14 agosto 2018, passai su quel viadotto meno di un mese prima: dal Porto di Genova mi dirigevo verso il Piemonte per uno stage di Arti marziali.

Un Amico ci passò il giorno prima, esattamente alla stessa ora del tragico fatto.

Prima foto.


In questa foto si vede la pila est del ponte, dove gli “stralli” sono stati sottoposti ad un cospicuo rinforzo.

Domanda numero 1. “A chi venne l’idea di rinforzare gli stralli?”

Sicuramente agli allora responsabili della manutenzione, Ingegneri e Geometri con la testa sulle spalle e di grande competenza tecnica, ai quali quel ponte non faceva dormire sonni tranquili e che facevano loro un motto usato generalmente nella Marina Militare.

“Iniziamo a rinforzare sperimentalmente gli stralli della pila est” il loro probabile pensiero, “se va bene vedremo di rinforzare subito anche la seconda…”

Domanda numero 2. “Quando venne fatto questo rinforzo?”

La risposta che ho trovato in Rete è “primi anni ‘90”.

Cosa successe negli anni seguenti, in Italia? La risposta è nota: in base “una determinata situazione” qualsiasi cantiere nel nostro Paese, di opere pubbliche e private, si fermò per diversi anni, sino a quasi gli anni 2000. Et de hoc satis.

Alla fine degli anni ’90 la proprietà e la gestione di Autostrade cambiano, i tecnici che avevano seguito il rinforzo della pila est con ogni probabilità se ne sono andati in pensione (penso io) e non se ne occupano più, quelli che li sostituiscono, mah.., il progetto per il rinforzo della pila ovest rimane in un cassetto a prendere polvere: l’acqua e la corrosine del metallo agiscono pressoché indisturbate sugli stralli dellapila ovest.

Ma evidentemente qualcuno a cui quella “pila ovest” turba i sonni c’è, perché qualche giorno prima compare in Rete il progetto per il rinforzo della pila ovest, con tecniche simili a quelle utilizzate per la pila est. Ho avuto modo, in Rete, in base alla normativa sugli appalti, di prenderne visione il giorno stesso.

Ma la corrosione dei cavi è arrivata prima della burocrazia.

P.S.: Ricordo che un pomeriggio, finita una giornata di lavoro al Ponte 5-24, scendemmo lungo la scarpata sino al fondo del wadi, allora ovviamente in secca. Le pile, già completate, si stagliavano esattamente controluce verso il sole che tramontava.Mio Padre fermò la macchina e si mise ad osservare lo spettacolo. “Proprio bello, questo ponte…”, osservò.
Rimise in moto e andammo via.

I Tecnici di una volta, quelli che non lavoravano solo per lo stipendio.

 

Nota: questo è il sistema di precompressione a cavi post-tesi

 
tratto da:

dahttps://moodle2.units.it/pluginfile.php/117359/mod_resource/content/1/06a%20STRUTTURE%202016-17%20rev11.pdf

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