Da qualche anno non si
fa che parlare di quanto le Scuole e le Università italiane siano pessime, sul
fatto che in Italia venga prodotta la peggior clesse docente, eccetera.
Su questo argomento un
libro di duecento pagine, questo, presentato esattamente un anno fa.
È purtroppo vero il
contrario: sono stati proprio gli esempi venuti dal nord Europa, che noi
abbiamo, come al solito acriticamente, accettato, in particolare dopo il ’68, a
peggiorare in maniera significativa la nostra scuola.
Un caro Collega,
ancora al fronte, mi telefonato in questi giorni.
“Sai Antonello, una mia cara Amica e Collega ha vinto il concorso per
insegnare Italiano all’estero, concorso al quale anche io ho partecipato. Lei,
con una doppia laurea in Lingua inglese e in Lettere moderne è stata ovviamente
la prima in graduatoria. È stata destinata dall’Ambasciata a insegnare in un
prestigioso Liceo femminile (in realtà in Inghilterra è un po’ diverso, ma non
mi dilungo) a nord di Londra, frequentato dai figli dell’alta borghesia.
Edificio bellissimo, tutte le ragazze con la gonna e la cravatta della scuola,
prati e palestre a profusione, per cui ho iniziato a insegnare con il più
grande degli entusiasmi: Ebbene: nulla. Queste ragazze non riuscivano a fare il
più semplice dei ragionamenti logici: erano abituate, in tutte le materie, a
rispondere ai quiz “con le crocette”. Quiz semplicissimi e praticamente
imparati a memoria, per giunta. Assolutamente niente di qualcosa di definibile
come “Cultura”. Ero allibita, per cui ho chiesto lumi all’Addetto culturale
dell’Ambasciata prima, dove mi hanno detto di adeguarmi, e al Preside della
Scuola poi, il quale mi ha detto la stessa cosa.
Sai,” ha concluso il Collega “mentre lei parlava mi sembrava di leggere il
capitolo del tuo libro dedicato al sistema scolastico anglosassone.”
Se gli Insegnanti
italiani fossero così incapaci non ci sarebbero tanti ricercatori italiani
nelle Università americane o nelle Cliniche britanniche, come ben si evince da
questo articolo:
"Uno dei nostri migliori studenti, medici specializzandi e
specialistici che io abbia mai conosciuto e seguito, di una preparazione
medico-scientifica e di una disponibilità professionale e umana di altissimo
profilo". A dirlo all'AdnKronos, parlando di Luigi Camporota, l'esperto di
medicina di terapia intensiva che sta curando il premier inglese Boris Johnson,
è Girolamo Pelaia, Professore ordinario di Malattie dell'apparato respiratorio
all'Università 'Magna Grecia' di Catanzaro, Direttore dell’Unità Operativa
Complessa di malattie dell’apparato respiratorio e della Scuola di
specializzazione.
….”
Fonte adnkronos
https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/04/08/coronavirus-ecco-chi-medico-italiano-johnson_wH5TUOeApFzKdLGZBoHU9L.html
https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/04/08/coronavirus-ecco-chi-medico-italiano-johnson_wH5TUOeApFzKdLGZBoHU9L.html
Il problema della
scuola italiana non è quello di non essere in grado di fornire ad alcuni, cioè
a coloro che dimostrano dedizione, intelligenza, capacità etc., una eccellente
istruzione, anche al giorno d’oggi: il problema della scuola italiana di oggi è
quello di dare un diploma ( e anche, purtroppo, una Laurea) anche a chi non lo
merita, in base a precise scelte ideologiche compiute in passato e tuttora
presenti.
Scelte ideologiche che
hanno portato all’uso scolastico di un verbo come “somministrare”, come se l’Istruzione
fosse lo sciroppo all’olio di fegato di merluzzo che la mia generazione ha
sperimentato.
Ne ingolli una
cucchiaita e sbaaamm… saprai tutto di matematica, latino, scienze…
L’emergenza del
Co-vid19, una volta di più, ha invece messo in luce l’adattabilità e la
passione per il proprio lavoro della gran maggioranza degli Insegnanti
italiani, i quali, senza aver ricevuto alcuna preparazione specifica, si somo
improvvisati registi, attori cinematografici, sceneggiatori, montatori, addetti
alle luci, cameramen e ciacchisti: “Motore,
ciack, azione! Buona la prima!”
Occorre specificare,
per chi non ha mai avuto venticique ragazzini di fronte a se in un’aula
scolastica, che per spiegare un argomento e far si che uno studente apprenda,
una cosa è fare una lezione nell’ambito di una Classe numerosa, un’altra fare
la medesima lezione nell’ambito di una Classe invece poco numerosa, un’altra
ancora fare una lezione ad un singolo alunno: il medesimo argomento va
affrontato con tecniche didattiche completamente diverse.
Figuriamoci quindi
approntare la stessa lezione per un apprendimento “a distanza”.
Innanzitutto mi
mancherà quella specie di “sismografo”, che qualsiasi docente degno di questo
nome ha come strumento professionale fondamentale, e gli permette di capire in
una Classe, alunno per alunno, il progredire della comprensione dell’argomento
trattato: non si tratta certo di mettersi di fronte ad una telecamera e parlare
come se si avesse una Classe davanti.
Non ho problemi con le
tecnologie moderne, per cui ormai da decenni preparavo, dispense, diapositive
con Powerpoint eccetera: ma vedevo che, quando prendevo in mano il vecchio
gesso e rifacevo a dimostrazione alla lavagna i sorrisi degli studenti si
allargavano fino alle orecchie.
Non dico assolutamente
che le lezioni a distanza non servano a nulla, ovviamente: quando Internet non
esisteva e i computer erano noti a poche decine o centinaia di persone al mondo
il maestro Alberto Manzi insegnò a leggere a scrivere a
decine di migliaia di Italiani analfabeti, su televisori che avevano lo schermo
praticamente emisferico.
Sarebbe quindi
essenziale che un corso da effettuarsi “a distanza”, cioè senza la presenza
diretta degli alunni venga preparato in base ad un ben preciso studio
programmatorio formulato con largo anticipo: quindi, una volta di più,
bravissimi i Colleghi ancora sulla breccia che, di fronte ad una terribile
emergenza come questa, si sono rimboccati le maniche e cercano di supplire con
professionalità a tutte le enormi carenze del sistema: ragazzi senza computer o
con computer obsoleti, o utilizzati da tutta la famiglia a volte anche per
lavoro eccetera, senza linee ad alta velocità eccetera.
Certo, come in
qualsiasi classe di lavoratori anche tra gli Insegnanti ci sono i lavativi, ma
perlomeno sino a non molti anni fa, erano in netta minoranza rispetto a coloro
che non solo facevano quello per cui erano pagati, ma lo facevano e lo fanno
con una passione rarissima tra le varie categorie di professionisti.
“I ragazzi stanno rispondendo bene…” mi hanno riferito alcuni Colleghi.
Ne sono felice.
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