sabato 11 aprile 2020

Un anno dopo la presentazione del libro


Da qualche anno non si fa che parlare di quanto le Scuole e le Università italiane siano pessime, sul fatto che in Italia venga prodotta la peggior clesse docente, eccetera.

Su questo argomento un libro di duecento pagine, questo, presentato esattamente un anno fa.




È purtroppo vero il contrario: sono stati proprio gli esempi venuti dal nord Europa, che noi abbiamo, come al solito acriticamente, accettato, in particolare dopo il ’68, a peggiorare in maniera significativa la nostra scuola.
Un caro Collega, ancora al fronte, mi telefonato in questi giorni.

“Sai Antonello, una mia cara Amica e Collega ha vinto il concorso per insegnare Italiano all’estero, concorso al quale anche io ho partecipato. Lei, con una doppia laurea in Lingua inglese e in Lettere moderne è stata ovviamente la prima in graduatoria. È stata destinata dall’Ambasciata a insegnare in un prestigioso Liceo femminile (in realtà in Inghilterra è un po’ diverso, ma non mi dilungo) a nord di Londra, frequentato dai figli dell’alta borghesia. Edificio bellissimo, tutte le ragazze con la gonna e la cravatta della scuola, prati e palestre a profusione, per cui ho iniziato a insegnare con il più grande degli entusiasmi: Ebbene: nulla. Queste ragazze non riuscivano a fare il più semplice dei ragionamenti logici: erano abituate, in tutte le materie, a rispondere ai quiz “con le crocette”. Quiz semplicissimi e praticamente imparati a memoria, per giunta. Assolutamente niente di qualcosa di definibile come “Cultura”. Ero allibita, per cui ho chiesto lumi all’Addetto culturale dell’Ambasciata prima, dove mi hanno detto di adeguarmi, e al Preside della Scuola poi, il quale mi ha detto la stessa cosa.
Sai,” ha concluso il Collega “mentre lei parlava mi sembrava di leggere il capitolo del tuo libro dedicato al sistema scolastico anglosassone.”

Se gli Insegnanti italiani fossero così incapaci non ci sarebbero tanti ricercatori italiani nelle Università americane o nelle Cliniche britanniche, come ben si evince da questo articolo:

"Uno dei nostri migliori studenti, medici specializzandi e specialistici che io abbia mai conosciuto e seguito, di una preparazione medico-scientifica e di una disponibilità professionale e umana di altissimo profilo". A dirlo all'AdnKronos, parlando di Luigi Camporota, l'esperto di medicina di terapia intensiva che sta curando il premier inglese Boris Johnson, è Girolamo Pelaia, Professore ordinario di Malattie dell'apparato respiratorio all'Università 'Magna Grecia' di Catanzaro, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di malattie dell’apparato respiratorio e della Scuola di specializzazione.
….”

Il problema della scuola italiana non è quello di non essere in grado di fornire ad alcuni, cioè a coloro che dimostrano dedizione, intelligenza, capacità etc., una eccellente istruzione, anche al giorno d’oggi: il problema della scuola italiana di oggi è quello di dare un diploma ( e anche, purtroppo, una Laurea) anche a chi non lo merita, in base a precise scelte ideologiche compiute in passato e tuttora presenti.

Scelte ideologiche che hanno portato all’uso scolastico di un verbo come “somministrare”, come se l’Istruzione fosse lo sciroppo all’olio di fegato di merluzzo che la mia generazione ha sperimentato.
Ne ingolli una cucchiaita e sbaaamm… saprai tutto di matematica, latino, scienze…
L’emergenza del Co-vid19, una volta di più, ha invece messo in luce l’adattabilità e la passione per il proprio lavoro della gran maggioranza degli Insegnanti italiani, i quali, senza aver ricevuto alcuna preparazione specifica, si somo improvvisati registi, attori cinematografici, sceneggiatori, montatori, addetti alle luci, cameramen e ciacchisti: “Motore, ciack, azione! Buona la prima!”

Occorre specificare, per chi non ha mai avuto venticique ragazzini di fronte a se in un’aula scolastica, che per spiegare un argomento e far si che uno studente apprenda, una cosa è fare una lezione nell’ambito di una Classe numerosa, un’altra fare la medesima lezione nell’ambito di una Classe invece poco numerosa, un’altra ancora fare una lezione ad un singolo alunno: il medesimo argomento va affrontato con tecniche didattiche completamente diverse.
Figuriamoci quindi approntare la stessa lezione per un apprendimento “a distanza”.

Innanzitutto mi mancherà quella specie di “sismografo”, che qualsiasi docente degno di questo nome ha come strumento professionale fondamentale, e gli permette di capire in una Classe, alunno per alunno, il progredire della comprensione dell’argomento trattato: non si tratta certo di mettersi di fronte ad una telecamera e parlare come se si avesse una Classe davanti.

Non ho problemi con le tecnologie moderne, per cui ormai da decenni preparavo, dispense, diapositive con Powerpoint eccetera: ma vedevo che, quando prendevo in mano il vecchio gesso e rifacevo a dimostrazione alla lavagna i sorrisi degli studenti si allargavano fino alle orecchie.

Non dico assolutamente che le lezioni a distanza non servano a nulla, ovviamente: quando Internet non esisteva e i computer erano noti a poche decine o centinaia di persone al mondo il maestro Alberto Manzi insegnò a leggere a scrivere a decine di migliaia di Italiani analfabeti, su televisori che avevano lo schermo praticamente emisferico.

Sarebbe quindi essenziale che un corso da effettuarsi “a distanza”, cioè senza la presenza diretta degli alunni venga preparato in base ad un ben preciso studio programmatorio formulato con largo anticipo: quindi, una volta di più, bravissimi i Colleghi ancora sulla breccia che, di fronte ad una terribile emergenza come questa, si sono rimboccati le maniche e cercano di supplire con professionalità a tutte le enormi carenze del sistema: ragazzi senza computer o con computer obsoleti, o utilizzati da tutta la famiglia a volte anche per lavoro eccetera, senza linee ad alta velocità eccetera.

Certo, come in qualsiasi classe di lavoratori anche tra gli Insegnanti ci sono i lavativi, ma perlomeno sino a non molti anni fa, erano in netta minoranza rispetto a coloro che non solo facevano quello per cui erano pagati, ma lo facevano e lo fanno con una passione rarissima tra le varie categorie di professionisti.

“I ragazzi stanno rispondendo bene…” mi hanno riferito alcuni Colleghi.

Ne sono felice.

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