martedì 30 dicembre 2025

Il pianeta di Mr. Sammler

Certe cose che accadono negli S.U. non sono facilmente comprensibili dagli europei, che vengono martellati da una propaganda che fa credere loro di vivere nel migliore dei mondi possibili.

Chiarisco subito che, in ogni caso, preferisco essere un cittadino europeo piuttosto che americano, russo o iraniano, ma....


Gia nelle elezioni presidenziali americane del 2016 erano venuti alla luce dei “rumours” su fatto che le elezioni potessero essere state, in qualche modo, pilotate dall’esterno.

La cosa allora, se non impossibile, (il sistema elettorale americano, che noi ammiriamo per la velocità nella proclamazione dei vincitori, è ben lungi dall’essere perfetto, anzi..) mi sembrò abbastanza improbabile: d’accordo, la cultura generale media di uno statunitense è pari (forse...) a quella di un ragazzino di tredici anni da noi, ma mi sembtò molto strano che gli statunitensi si potessero far influenzare da un po’ di messaggi subliminali sui social.

Anche perché queste argomentazioni, in maniera molto timida bisogna dire, vennero tirate fuori dai “perdenti”, che quindi avevano l’interesse a farlo.Alla luce dei comportamenti dell’attuale Amministrazione statunitense non mi sentirei oggi di sostenere certe argomentazioni con il medesimo vigore di allora.

Iniziamo da lontano considerando le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 1992, argomento già trattato in queste pagine

Nel 1991 si era avuta la prima Guerra del Golfo, il Kuwait era stato liberato, ma Saddam Hussein era rimasto saldamente al suo posto.Fece la sua apparizione il miliardario di turno, Henry Ross Perot (Texarkana, 27 giugno 1930 – Dallas, 9 luglio 2019) che fondò il suo personale partito, il Partito della Riforma. Idee politiche: posizione nettamente conservatrice, nel senso statunitense del termine, che è alquanto diverso dal nostro.
Posizioni sostanzialmente molto vicine a quelle del Trump odierno e medesimo “bacino elettorale”.

Una cosa importantissima, che è bene precisare: qualsiasi cittadino americano si può candidare a diventare Presidente degli Stati uniti, basta sia nato negli S.U. e abbia i soldi per ottemperare alle operazioni burocratiche necessarie e a fare campagna elettorale. Non sono quindi solo i nominati dai due maggiori Partiti che si sfidano, come qualcuno qui in Europa sembra credere.

Il miliardario Perot aprì la sua campagna elettorale, fece qualche comizio in giro per la Nazione, pagò di tasca un po’ di gadgets colorati e bandierine, ma dopo un po’ dichiarò:“.. mi ritiro dalla competizione, ho speso veramente troppi soldi, tanto non diventerò mai Presidente degli Stati Uniti...”

O.K.

La medesima cosa fatta da un altro miliardario nelle elezioni del 2016, Michael Rubens Bloomberg (Boston, 14 febbraio 1942: incommensurabilmente più ricco sia di Donald Trump che di Ross Perot messi insieme, detto per inciso...), il quale però cercò, senza riuscirci, di ottenere la nomination nel Partito Democratico.

Ritornando alle elezioni del 1992, passò qualche settimana e il miliardario Ross Perot si ripresenta: “..tutto sommato ci ho preso gusto. Eccomi, sono di nuovo qui...”

 Risultato delle elezioni:

Bill Clinton      44 909 806 milioni di voti              43,0%    370 grandi elettori

George H. W. Bush  39 104 550 milioni di voti       37,4%    168 grandi elettori

Ross Perot           19 743 821 milioni di voti              18,9 %       0 grandi elettori

Non è necessario essere né grandi politologi né grandi matematici per notare che, senza la presenza del miliardario Perot, che ebbe un successo che non si vedeva da numerose tornate elettorali per un candidato indipendente, George H. W. Bush avrebbe vinto alla grande.

Clinton vinse, e questo fece piacere al “Depp State”e Bush pers; ma a c’è una domanda, che è rimasta irrisolta perché nesuno, probabilmente, aveva l’interesse a tirare fuori certe cose: dove prese, o chi diede, a Ross Perot i soldi per la prosecuzione della campagna elettorale, visto che lui non li aveva? Qualcuno che voleva far perdere (o vendicarsi...) di Bush, per caso?

Non credo di essere il solo a pensare che i soldi che permisero a Perot di proseguire la campagna elettorale potessero (...ipotesi di lavoro...) non provenire tutti dall’interno degli Stati Uniti.

Gli americani, che sono di una pignoleria devastante su certe cose (quando una importante Azienda italiana provò ad ottenere la quotazione alla Borsa di New York le venne risposto che occorrevano i “veri” libri contabili, e non i pezzi di carta debitamente infiocchettati che erano stati presentati) come mai in questo caso fecero il pesce in barile?

Da allora, il fatto che negli Stati Uniti le elezioni presidenziali possano essere “eterodirette” in varie maniere si è fatta sempre più strada.

Nel 2020 entrambi i due maggiori Partiti, molto perplessi rispetto ad una nuova possibile Presidenza Trump, confezionarono al medesimo un “biscottino”, di cui, già a suo tempo, scrissi, per cui venne eletto Joe Biden, personaggio moderato e di grande esperienza politica che nel 2016, nonostante fosse il Vice-presidente di Obama, non si era potuto candidare proprio perhé inviso a quest’ultimo(era stato imposto dal Partito, ptoprio per “controbilanciare” Obama).

A questo punto occorre precisare alcune situazioni, che per noi europei non sono molto conosciute.

Il “manovratore” della politica del Partito Democratico a partire dai primi anni ‘2000, è stato Barack Obama, che culminata la carriera con i due mandati da Presidente (20 gennaio 2009 –20 gennaio 2017), ha tentato “from the basement” (dalla cantina, come dice un mio Amico italo-americano) di eterodirigere la politica di quel Partito.

Come qualsiasi autocrate che si rispetti, Obama tentò con ogni mezzo di evitare che nel Partito Democratico si potessero creare delle candidature “forti”, sponsorizzanto Hillary Clinton prima, Kamala Harris dopo.
Anzi, “qualcuno” fece addiririttura circolare la voce di una possibile candidatura di Michelle Obama che, evidentemente persona intelligente, fece capire in maniera chiara e netta che lei non si sentivca adatta e aveva altro a cui pensare. Qualcuno disse anche per dissapori coniugali, ma questo è un “gossip”.

I Democratici e il mondo a loro legato ritenevano nel 2016 la Clinton praticamente gà eletta; i Repubblicani, paradossalmente, i quali volevano liberarsi di Trump mandandolo scornarsi contro un Candidato creduto appunto invincibile, e visto che nessuno di loro voleva intestarsi una sconfitta che avrebbe posto fine alla sua carriera politica, ne approvarono la candidatura.

“...lasciamolo andare avanti”, disse un famoso Personaggio italiano a proposito della ‘discesa in campo’ di Berlusconi: “...se vince, vinciamo tutti; se perde, perde lui...”. La politica italiana ha fatto scuola, come si vede.

La Clinton era invece, come le elezioni dimostrarono, un gigante dai piedi d’argilla, in quanto troppo legata agli ambienti affaristico-finanziari del “Deep-State” odiato dall’americano medio: non furono dimenticate le “cortesie” fatte alle Banche dal Marito Presidente, come l’abolizione della netta separazione imposta da F.D. Roosevelt, in tempi di “New Deal” tra banche “retail” e banche “d’affari”.

Di Kamala Harris non se ne parli. Addirittura, quando apparve chiaro che Joe Biden era troppo malandato in salute per poter affrontare un secondo mandato, nella stessa Sinistra italiana, sempre genuflessa davanti al Partito Democratico americano, tanto da averne copiato persino il nome, apparvero non poche perplessità: ricordo in un Tiggì una c.d. “intellettuale storica” facente parte di quell’area che non poté trattenere un sospiro e un sorriso quando la candidatura della Harris le venne adombrata da un giornalista in sostituzione di Biden.

 Non una di quelle risate omeriche con le quali la Harris rispondeva a qualsiasi domanda le venisse posta, tanto da meritarle il nomignolo di “laughing Kamala”; ma, peggio, un risolino tra scherno e la preoccupazione.

 Se poi si aggiungono i programmi “sotterranei” di Obama che circolavano negli S.U., vale a dire quello di “aumentare il tasso di melanina negli S.U.” con l’accesso incontrollato di immigrati e di potenziare un welfare che noi europei pensiamo negli S.U. non esista e che invece proprio sotto Obama è diventato molto generoso (“Se hai i soldi per sigarette, tatuaggi e droga non hai bisogno del nostro welfare” pensa la maggior parte degli statunitensi) la sconfitta della Harris era totalmente prevedibile.

 Ma torniamo all’assunto.

 “Gli affari non si fanno mai con i soldi propri” mi dise una volta un Amico, con un solidissimo, beato lui, back-ground finanziario alle spalle.
Come è noto, la campagna elettorale presidenziale statunitense è costosissima.
Quanto sono costate complessivamente le ore di volo degli spostamenti aerei in campagna elettorale, dell’uno e dell’altro Candidato e dei loro Collaboratori? Penso che se avessi nelle mie tasche il solo costo del carburante potrei essere se non ricco, perloeno benestante.

È vero che, probabilmente convinto dalla sostanziale stabilità avutasi durante la prima Presidenza Trump (i “Mercati” adorano la stabilità, a meno che non siano proprio le loro esigenze a provocare il contrario), assieme al terrore di vedere la Harris Presidente degli S.U., il “Deep State” questa volta ha assunto una posizione meno nettamente contraria nei suoi confronti, per cui, “cum juicio”, questa volta ha finanziato anche Trump: ma non mi stupirei se, alla luce delle politiche portate avanti dall’attuale Anninistrazione, i soldi per la sua campagna presidenziale non fossero solo i dieci dollari spediti dai “rednecks” dell’Iowa.

Con tutto il rispetto per i “rednecks” naturalmente, che ancora tengono in piedi quello che resta degli S.U.

Come spesso capita, quando lessi un bellissimo romanzo de Premio Nobel Saul Bellow, “Il pianeta di Mr. Sammler”, uscito nel 1970, ebbi qualche perplessità.

Purtroppo le sue previsioni si stanno rivelando azzeccate.


Nessun commento:

Posta un commento