Una mattina della torrida estate del 1952, settantuno anni fa, mia mamma, allora ventiduenne e incinta di quasi nove mesi del sottoscritto, si trascinava a piedi dal mercato a casa (750 m circa, secondo google maps), contenuta in una borsa a rete, una voluminosa anguria.
Passò in muratore in bicicletta, che non si poté esimere dal lanciarle una icastica battuta, tipica della cagliaritanità di una volta:
“Eh signò, cun custa basca sa sindria è coendi beni, berus?”
(Trad. mia: Signora, con questo caldo l’anguria
sta maturando bene, vero?”)
e ricevendo in risposta da mia mamma tutta una sfilza di improperi, che mia
mamma ancora oggi ricorda.
Io mi domando quale delle palestrate signore di oggi si porterebbe dietro per 750 m sotto il sole, a piedi, incinta di oltre otto mesi, una voluminosa anguria. Non è che sia cambiato il clima: siamo cambiati noi, che non riusciamo più a sopportare il benché minimo disagio, sia fisico che di psichico.
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